"Libertá"
6 Febbraio 2007

Un’intervista di Caterina Caravaggi

Da quali passioni è animato il regista e documentarista Folco Quilici?

Da passioni, che con il tempo si sono trasformate. All’inizio della mia carriera ero sicuramente animato dalla passione per la scoperta e dal desiderio di rendere partecipe della scoperta lo spettatore o il lettore. Ho desiderato scoprire e far scoprire che cos’era il mare sott’acqua e le ultime popolazioni “anfibie” del nostro pianeta. Da lì, le passioni si sono moltiplicate e mi hanno portato a scoprire quelle parti del mondo rimaste ancora intatte dal punto di vista sia umano che ecologico. Con la serie di film dedicati al Mediterraneo, poi, sono giunto a dar sfogo a due passioni che oggi sono quelle più solidificate in me: la difesa dell’ambiente e il racconto della storia.

Che tipo di preparazione ci vuole per diventare regista di film documentari? Ovvero, che consigli darebbe ai giovani che volessero intraprendere questa professione?

Innanzitutto, è necessario conoscere perfettamente l’inglese, perché per realizzare un documentario bisogna parlare con scienziati, occorre conoscere la lingua ufficiale del mondo e della ricerca. Poi bisogna prendere esempio dagli ottimi lavori che provengono dal mondo anglo-sassone e francese, nei quali sono abbinate le due professioni di ricercatore scientifico e cineasta. Io ho sempre lavorato accanto a un ricercatore scientifico. Ma questo i giovani di oggi non lo accettano, perché tendono a voler fare tutto da soli.

Dopo la fortuna di cui ha goduto negli anni ’60, il cinema della realtà in Italia è rimasto in una posizione marginale rispetto al cinema di finzione. Oggi, tuttavia, nelle sale sono tornati a essere proiettati film documentari (penso per esempio a “Il popolo migratore” o “La marcia dei pinguini”). E’ il segno di una rinascita?

Non esattamente. Per lo meno non per le produzioni italiane. Fare film sulla natura è un’operazione costosissima, destinata a essere in passivo. Il documentario naturalistico costa, tanto quanto i film con attori, ma incassa molto meno. All’estero ci sono più soldi, ma anche un film come “Il popolo migratore”, che è a mio parere uno dei più bei film mai realizzati nel rapporto tra cinema e natura, è stato un disastro finanziario.

E in televisione?

Con la televisione italiana oggi è difficilissimo produrre qualcosa. Grandi lavori come quelli che realizzai (“Mediterraneo”, “I segreti del mare”), oggi sarebbero improponibili.

Lei è stato un pioniere dei programmi culturali della televisione italiana, in un periodo in cui "La televisione – ha dichiarato a metà degli anni ’80 – non aveva ancora nulla da spartire col baraccone politico e commerciale di oggi". Vent’anni dopo, è ancora valida quella sua affermazione?

Con una beffa in più: il fatto che la tv oggi produca programmi culturali, come per esempio la Rai Educational di Minoli, che è una realtà magnifica, che però non si riescono mai a vedere, perché vengono mandate in onda alle sei del mattino, o alle tre di notte. Io mollai il cinema per fare tv, perché pensavo che potesse essere una grande opera “missionaria” nel campo della cultura, invece la televisione è diventata un sopporto per la pubblicità.

Quale linguaggio, tra la scrittura per immagini e la scrittura di romanzi, stimola di più l’immaginazione dell’autore Folco Quilici?

Sicuramente la scrittura di romanzi.