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Folco Quilici
Filmografia
 

 

"Gente"
19 luglio 2004

MAR ROSSO

Il pescatore marinaio Masino, in paese, lo chiamavamo "l'uomo che aveva visto l'impossibile".

Era sardo, di quelle famiglie liguri finite a Sant'Antioco dopo la lunga peregrinazione delle comunità partite secoli prima dal luogo d'origine, Camogli, e stabilitesi a Tabarka, in Tunisia. Per esser poi di là cacciate e sbarcate in un'isola arida e inospitale, a poche miglia dalla Sardegna.

Appena diciottenne Masino era partito per un mare lontano e al paese si erano scordati di lui. Quando tornò da vecchio, parlava una lingua mista di ligure, sardo, arabo e inglese. Sembrava sapere tutto di tutti, e raccontava favole vere, incantando con racconti d'un mare lontano che a volte da blu diventava rosso.

"La mutazione accade all'improvviso" spiegava pazientemente. "Ti svegli e quanto vedi ti lascia a bocca aperta. Hai davanti uno specchio marino coperto sino all'orizzonte di un manto rosso fuoco che galleggia sulle onde appena increspate. Una visione magica, un sortilegio."

"Mette paura?" chiese un bambino.

"Sì, gli antichi naviganti che solcavano quel mare si spaventavano nel vederlo a volte apparire rosso come il sangue…"

"Mi sembra avessero buone ragioni per spaventarsi!" commentò una donna.

"Sì, anche perché interpretavano il fenomeno come evento minaccioso, sovrannaturale… quella paura oggi è però ingiustificata in chi, come me, non ha più paura di un diavolo capace di stendere quel tappeto sul mare. A render rosso il Mar Rosso, è una pacifica, innocua alga che la temperatura moltiplica a miliardi."

"Ecco perché si chiama così!" il ragazzo che già l'aveva interrotto, si illuminò d'un largo sorriso. "Continuavo a chiedermene la ragione…".

"Però basta un vento impetuoso e il manto rosso viene disperso, il mare torna azzurro, ogni suo fondale uno specchio di cristallo."

Quando raccontava, Masino raccoglieva un certo pubblico, in paese.

"I primi a descrivere il fenomeno furono pellegrini ebrei e cristiani" spiega. "Dall'Egitto attraversavano questo mare per raggiungere il Sinai e salire al monastero eretto alle falde del monte dove Mosè ricevette da Dio le tavole della legge."

 

Masino sceglieva le sere d'inverno per raccontare. E molti preferivano lui alla TV, perché era bravo nel suscitare fantasie, o paure. Come quando parlò di squali. Diceva che invecchiando, lui ne aveva visti sempre di meno, in mare.

"Li stanno pescando tutti, in tutti i mari del mondo."

"Ma qualcuno ne resta… e di quelli grossi" obiettò un pescatore.

In quel Mar Rosso dove esercitava il mestiere di marinaio, lui non si trascurava l'eventualità di sgradevoli incontri con squali potenzialmente aggressivi. Per prudente abitudine, quando si tuffava si armava di un'asta di legno sulla cui punta aveva incastrato un grosso cacciavite. "Dovevo arrangiarmi" spiegava, aggiungendo che con quel rudimentale strumento di difesa e una vecchia maschera, guizzava tra pesci pappagallo grandi e piccoli. Di loro raccontava che rosicchiano coralli e dopo la digestione restituiscono il cibo al mare sotto forma di polvere granulosa e pallida; risero tutti, i suoi fedeli ascoltatori, quando precisò che a tanta ininterrotta pioggia di candidi escrementi, si deve il dono delle incantevoli spiagge lungo le rive dei mari tropicali.

Si abbandonava spesso ai ricordi. Qualcuno veramente emozionante, a narrarlo tornava a partecipare l'evento come lo rivivesse ex novo. Come quando narrò della sera in cui si trovò tra masse d'acqua che alla superficie ribollivano, squarciate da enormi corpi che balzavano in ogni direzione.

"Erano schiene lucide e nere che spuntavano dal mare verticalmente, sormontate da lunghe corna attorcigliate."

"Che mostro era?" L'interrogativo d'uno dei suoi amici non ebbe subito risposta, disse della sua paura, del suo afferrarsi ai bordi della barca per non cadere in mare. Lo spostamento d'acqua creato dall'improvvisa fuoriuscita dei bestioni imprimeva forte rollio all'imbarcazione.

I corpi neri e lucidi erano mantas giganti. Uscivano all'improvviso, perpendicolarmente dal mare per quasi metà della loro lunghezza, rovesciandosi poi all'indietro. Così scoprendo il ventre alla cui estremità superiore, s'apriva la bocca chiusa fra due grandi e molli corna.

Un tonfo e ricadevano nella schiuma.

"Delle più grandi la vidi per un istante sventolare la lunga coda, poi mentre scompariva verso il fondo, riuscii a confrontare la sua larghezza con quella della mia barca. Calcolai che fosse non meno di sei metri d'apertura alare."

Quella e le altre mantas s'erano appena inabissate e pareva che su quel lembo del Mar Rosso fosse tornata la pace, quando vide, poche decine di metri più in là, ripetersi tale e quale lo stesso strano spettacolo.

"I corpi piatti e nerastri ripresero a uscire dall'acqua, poi a ripiombarvi dentro, scoprendo il ventre. Una capriola, una sorta di tuffo alla rovescia, fatto anziché dal cielo verso il mare, dal mare verso il cielo. Intanto s'era fatto quasi buio, il rosso del sole tingeva le nuvole, le onde e un'isola lontana. Una manta di dimensioni normali e una più grande, poi una vicinissima e un'altra lontana, balzavano di nuovo, si rovesciavano sul ventre, in ritmo sempre più veloce. Dovevo star molto attento a che la barca non si rovesciasse, ero proprio al centro di quella sarabanda."

Posizione pericolosa e instabile, tuttavia l'unica da dove Masino poteva riuscire a rendersi conto di quel che accadeva; del perché, in quel punto particolare del Mar Rosso, una decina di creature marine avessero deciso di riunirsi e di comportarsi in modo tanto bizzarro.

Dalla barca intravedeva tutto il loro movimento. Ogni manta, nel suo cielo d'acqua, partiva dalla sua posizione normale, il corpo parallelo al fondo, pancia in basso, schiena verso l'alto; risaliva impennandosi in una ripida cabrata verso la superficie. Quando sbucava alla superficie veniva a trovarsi in posizione perfettamente verticale. In virtù della spinta dal basso, emergeva dall'acqua per quasi tutta la sua lunghezza, si rovesciava, ricadeva all'indietro. E così, pancia all'aria e muso in basso ripiombava verso il fondo.

"A che cosa era dovuto tale comportamento?" gli chiese il Parroco del paese, uno dei più appassionati ai racconti di Masino. E lui rispose evocando la sua sorpresa nel veder d'un tratto il mare percorso alla superficie da lunghe teorie di mantas molto piccole, larghe poco più di mezzo metro… Marciavano in gruppi di cinque o sei.

Piccole mantas? Prima non c'erano!

Mentre le più grosse con lenta maestosità instancabilmente ripetevano il loro arco, le piccole, frenetiche, sbattevano le piccole ali alla superficie e correvano lasciandosi alle spalle una lunga scia bianca di schiuma.

"Piccole mantas? Da dove venivano?" insisteva il Parroco e Masino spiegò, dopo aver ripetuto che tutte le piccole passavano veloci tra la barca e il filo lontano del mare che tagliava ormai in due il disco del sole. Mentre le sagome nere degli esemplari giganti che balzavano contro il cielo parevano, controluce, ombre di assurdi pipistrelli svolazzanti sulle onde.

"La mia barca era sbattuta senza governo, non pensavo né ai remi né al timone; ma fissavo il mare e le bestie grandi e le piccole. A occhi sbarrati cercavo di vincere il loro segreto fin quando finalmente capii. Le piccole mantas erano neonati di manta, la mia barca si trovava al centro di una cerimonia, di una tumultuosa riunione d'esseri spinti da una legge del mare a riunirsi in quel punto, per mettere alla luce i loro figli. Le grandi mantas aiutavano il loro corpo a partorire eseguendo fantastiche evoluzioni. Quando tutto questo si placò e qualche stella apparve violenta e sulla costa si accesero dei fuochi, decisi di tornare" mormorò tra sé. "Diedi allora uno strappo al fuoribordo; l'elica frusciò, disegnò una riga fosforescente e puntai verso la costa. Portavo con me la visione di un mistero del mare al quale m'era stato dato d'assistere."

Folco Quilici