Home Page Archivio foto e film curriculum lavori recenti libri Videocassette L'avventura e la scoperta reportage


Folco Quilici
Filmografia
 

 

"Il Messaggero"
luglio 2003

IL VERO TESORO DEL PIRATA BARBAROSSA

Qualcuno narra, all'Asinara, di un ergastolano scomparso dall'isola-carcere dopo aver trovato il tesoro qui nascosto mezzo millennio prima da un famoso pirata, il Barbarossa.

Per dar credito a questa e a altre leggende, occorre sommare due dati. Ricordare che il Barbarossa, per dominare il Mediterraneo centrale, si stabilì all'Asinara, e qui si arroccò in un castello imponente. Ricordare anche il tempo in cui, in epoca moderna, la stessa isola ospitò per oltre cent'anni una sterminata popolazione carceraria. Perché non credere all'ipotesi che uno dei tanti forzati abbia avuto la fortuna di trovare quanto il vecchio pirata seppellì nei meandri del suo maniero? Gli ori, gli argenti e altri preziosi, per anni da lui razziati, in quello scorcio del 1500 quand'era il più temuto dei pirati mediterranei.

La maestosa costruzione che domina l'isola distesa tra Sardegna e Corsica, non venne costruita da lui, ma dai genovesi; ed è ancor oggi visibile, ammirabile e raggiungibile (con un po' di fatica). I Doria la eressero nel 1200 e venne conquistata tre secoli dopo dal Barbarossa e dal fratello, Babà Urug. Illustre studioso, questi, in contatto con scienziati dell'Europa del tempo.

Peraltro era egualmente stimato "il pirata"; tant'è vero che nel Mediterraneo musulmano, era più onorevolmente chiamato "l'Ammiraglio". Con il suo vero nome, Kabir ad Din, è sepolto presso Costantinopoli.

La sua memoria è con intramontabile passione onorata da turchi ed esecrata nel Mediterraneo cristiano.

Personaggio tra storia e leggenda, in Sardegna è ancora popolare nell'area che dominava dal suo castello e con la sua flotta. E dove ancora si crede alla favola di un bambino rapito nella zona di Stintino durante una scorreria di una sua banda armata, ma poi da lui protetto e adottato. Cresciuto alla scuola di tale maestro, il bambino fattosi uomo sarebbe divenuto re di Algeri… se questo fosse vero nella famiglia reale algerina del tempo scorreva sangue sardo…

 

Sbarcando all'Asinara sono però racconti veri o fantasiosi sui carcerati a tener banco. Tanto che, a mio avviso, i pochi residenti dell'isola non hanno motivo di lamentarsi se ricevono male la TV e non possono appassionarsi alle telenovelas della RAI. Di storie strappacuore del genere, le memorie dell'isola-carcere ne tramandano infatti molte. Con i protagonisti più diversi. Basti pensare a quando nel 1916 sbarcarono qui sedicimila soldati austroungarici prigionieri di guerra, condannati in gran parte a morire di colera; e basti ricordare che più d'ogni altra colonia penale italiana, l'Asinara ha ospitato decine e decine di delinquenti, fuorilegge e mafiosi. Campionario d'una umanità perduta, sempre temibile, spesso sorprendente.

Su quello sfondo tragico, la telenovela di maggior successo non riguarda personaggi di rilievo qui carcerati, come Toto Riina e altri dello stesso calibro.

Ma due anonimi e silenziosi compari: un mulo e un uomo. Questi scontava nell'isola un debito con la giustizia e la docile bestia gli era stata assegnata per affrontare una quotidiana fatica: salire le pendici dei monti e dei boschi dell'isola, e lassù tagliare e caricare legna. Riportarla poi a valle per consegnarla alle cucine della Colonia. Giorno dopo giorno, fatica dopo fatica, quell'uomo e quel mulo avevano lavorato insieme per diciotto anni. In silenzio, solitari.

Un giorno, inaspettatamente per lui, all'ergastolano venne condonata la sua pena per buona condotta. Poteva lasciare l'isola!

Disperato (era solo al mondo) chiese di restare all'Asinara. E di continuare il suo lavoro.

Desiderio impossibile da soddisfare.

Chiese allora di acquistare il mulo, avrebbe continuato, con lui, a impegnarsi come taglialegna da qualche parte in Sardegna. In pagamento offrì quanto aveva guadagnato e mai speso durante la prigionia (i detenuti ricevevano un compenso per le mansioni svolte). Ma anche questa richiesta venne respinta, l'Amministrazione della Colonia Penale, non poteva vendere un "inalienabile bene dello Stato". L'ex galeotto insistette, pianse, ma tutto fu inutile. La burocrazia fu ancora una volta imbecille e inflessibile e l'uomo lasciò l'isola da solo. Ma da quel momento il mulo rifiutò il cibo e continuò a rifiutarlo nei giorni successivi. Dopo una settimana morì.

A quanto si seppe morì anche l'uomo, a pochi mesi dalla liberazione.

 

A tante pagine di tristi e assurdi racconti del lungo tempo delle prigioni, se ne affiancano anche di diverse, divertenti; come la beffa archeologica d'una trentina d'anni fa. Se ne seppe qualcosa quando si divulgò la notizia della scoperta nelle montagne dell'Asinara d'una di quelle tombe d'età neolitica che in Sardegna sono chiamate domus de janas (case delle streghe). Molto eccitati, alcuni paletnologi piombarono sull'isola come api al miele, si fecero scortare dai Carabinieri e sui fianchi di uno scosceso monte penetrarono all'interno di una vasta e tenebrosa caverna. Che essi ritennero fosse stata abitata nelle più remote età dell'uomo. Emozionati accesero lampade e candele, fecero luce nel primo e poi nel secondo antro che essi riconobbero come camere funebri. "Dopo cinquemila anni un uomo torna in un ambiente segreto" strillò l'indomani un giornale di Sassari.

L'uomo, invece, in quel luogo segreto era tornato molto più recentemente di quanto scienziati e guardiani del carcere potessero supporre. Se ne accorsero proseguendo l'esplorazione, quando giunsero faticosamente in fondo alla tomba e si trovarono di fronte a una paretina di fango. Sorpresi, l'abbatterono, e subito al di là si trovarono di fronte a una rudimentale distilleria. Alambicchi e fornelli rivelavano senza ombra di dubbio che nel profondo e sconosciuto cunicolo, alcuni intraprendenti inquilini della Colonia Penale avevano per anni prodotto chissà quali e quanti alcolici forti. Non restò altro agli scienziati se non l'augurarsi che gli ergastolani avessero bevuto quanto prodotto alla salute dell'uomo neolitico.

 

Torno brevemente al tema dei tesori dell'Asinara.

Non insisto sulle favole di casse di monete d'oro ancora nascoste, o sui forzieri portati via da chi riuscì a trovarli e fuggire dal Penitenziario. Mi riferisco ai veri tesori di oggi, non a quelli ipotetici del passato.

Quando anche voi, come m'auguro, li scoprirete e li ammirerete sbarcando all'Asinara (oggi Parco protetto, marino e terrestre) non riterrete retorico chi definisce "preziosissimi" alcuni paesaggi e ambienti naturali dell'isola.

Nessun lingotto o catena di smeraldi o anelli di rubini può essere equiparato, non solo a mio avviso, con alcuni punti dell'Asinara. Là dove rocce di granito rosa e acque tra l'azzurro e il verde compongono paesaggi sublimi.

Non intendo esibirmi in una retorica da imbonitore turistico. Ma non posso non citare tre punti straordinari del parco geo-marino dell'isola: come Cala Sant'Andrea e Cala Arena, da molti definite tra le più belle spiagge di tutto il Mediterraneo. E come Cala Sabina.

Tutta l'isola è Parco protetto, ma questo non significa che i suoi custodi intendano porre l'Asinara "sotto una teca di cristallo", come ha scritto tempo addietro un ambientalista estremo.

E' vero invece il contrario: escludendo l'uomo, un Parco muore. E' questo il principio al quale attenersi nel futuro, nello spirito di una nuova ecologia, sia per salvare i nostri patrimoni più preziosi, sia per fruire della loro bellezza senza provocarne la devastazione.

Può darsi che anche Barbarossa dal suo eremo alto sull'isola, ne sia contento. E ci faccia sapere che è questo il tesoro che da lui lasciato all'Asinara.

In fondo, non l'aveva nascosto. E per fortuna nessuno l'ha rubato.

Folco Quilici