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Alta Profondità

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Antefatto: due minisub (il Tom e il Jerry) sono a mille metri di profondità nel ventre del relitto della corazzata Roma, dov’è esplosa la bomba razzo tedesca che – con un potente nuovo esplosivo – ha colato a picco in pochi istanti la gigantesca nave.

Tentano il recupero di un reperto indispensabile alla riuscita dell’operazione che mira a scoprire la natura dell’esplosivo usato.

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(…) A bloccare la manovra è evidentemente una adesione del rottame al plancito. Malgrado il colpo vibrato per distaccarlo, è rimasto saldato in un punto non visibile.

Marco sta per suggerire a Burt: "Cerchiamo un altro reperto" ma è preceduto dal pilota. Nel tentativo di accelerare i tempi, porta il sistema propulsivo alla massima potenza, ne inverte la direzione. Al balzo indietro del DR la placca metallica, dopo una vibrazione tra le ganasce della pinza, si stacca.

Appena il tempo d’esclamare "Ecco fatto!" e un suono profondo, doloroso per i timpani, avvolge i due acquanauti, quasi si trovassero al centro di una campana nel momento di un rintocco.

"Cos’è?" il grido di Burt dissolve nella vibrazione che cresce.

E’ il relitto a rispondere.

La manovra di massima spinta e il colpo per aiutare la pinza, hanno provocato un contraccolpo e il crollo di una struttura. Il lugubre rombo si ripete in una serie di echi, evidentemente alla caduta di una parte decomposta dello scheletro metallico ne seguono altre.

Cresce, diventa fitta la caduta della ruggine.

"Presto, ritragga il braccio metallico accanto al Tom. Io ruoto su noi stessi e cerco di…"

Un finimondo interrompe Burt.

Lo provoca quanto appare nel raggio di luce, rosso per la ruggine, qualcosa di vivo, di lucente. E’ un ectoplasma che si gonfia, diventa mostruosamente grande, inghiotte il Tom.

Una enorme bolla d’aria, sfugge da una sacca interna della nave, dov’era rimasta al momento del naufragio, compressa a dieci atmosfere di pressione. Il DR con la sua manovra deve aver smosso, o spezzato, il piano che la tratteneva.

Adesso, espandendosi sale verso la superficie, investe il Tom. E’ di proporzioni crescenti, il doppio, il triplo del minisub. La differenza di pressione mentre sale ne aumenta smisuratamente il volume.

Il Tom non è più immerso nell’acqua: è nel vuoto, nulla lo sostiene all’interno della bolla.

"Precipitiamo!…" urlano insieme Marco e Burt.

Seppur di poco il Tom cade.

La massa d’aria è svanita, fugge verso la superficie, il DR batte sul pianale inclinato del ponte interno e, raschiandone la superficie, slitta come su un toboga e scivola verso il ventre profondo del relitto. Quando con uno schianto si ferma e tutto attorno a lui è di nuovo acqua, la bolla è ormai lontana.

 

Il faro di prua è finito a pezzi. Resta solo il minimo riflesso emanato dagli strumenti all’interno della capsula.

Chiarore vago che rende spettrali i volti dei due.

Uno sguardo conferma l’uno all’altro d’essere ancora vivi, poi le dita delle loro mani corrono ai pannelli per controllare eventuali danni ai sistemi di guida.

"Il sonar è fottuto".

A Burt sanguina un labbro per il contraccolpo della caduta, la cintura di sicurezza l’ha trattenuto, ma ha battuto contro qualcosa.

"Infiltrazioni? Non sembra ce ne siano…" è la prima battuta di Marco "Le batterie parrebbero salve… vedo i volmetri regolari…".

"Il transponder era KO, adesso anche il sonar."

"Calma Burt. Abbiamo rischiato di finire a pezzi nella caduta, siamo invece vivi, le batterie continuano regolarmente a erogare corrente…".

Gli risponde un grugnito. Il pilota sta provando una ad una le risposte dei propulsori. I laterali e i superiori funzionano, ma non gli altri.

"I due inferiori non reagiscono… li abbiamo schiacciati con il nostro peso, battendo sul pianale".

Marco intravede il compagno scuotere la testa e, con la manica della camicia, asciugarsi le labbra dal sangue. Non è difficile intuire cosa stia pensando, un Deep Rover senza fonti di luce, senza transponder, senza il sonar è cieco, nell’acqua di pece dov’è finito, nel labirinto di lamiere dov’è prigioniero. Per di più, zoppo di due propulsori.

Marco nota un tremore nelle mani di Burt.

Alla paura per la situazione ne somma un’altra… il suo pilota sta perdendo la freddezza indispensabile in un momento disperato come questo?

"Nemmeno la lampada d’emergenza s’accende… puttana troia…"

"Dobbiamo reagire con calma, Burt".

Gli risponde uno sguardo esasperato: "Calma? Lei sa quanto ossigeno ci rimane?"

Marco ha un attimo di perplessità, poi "Per almeno tre ore e mezza. Non è poco".

"E’ poco, terribilmente poco…"

Burt è uomo d’esperienza, preparato a ogni genere di pericolo, incluso il rischio di sentirsi prigioniero di una capsula immobilizzata. Questa volta è diverso, sa di non poter contare sull’ "emergenza sgancio". Il Tom si trova in fondo a labirinti di strutture accatastate, sganciando la capsula abitata dal resto del DR, la risalita senza controllo finirebbe con l’urtare ostacoli posti al traverso alla via di salvezza.

Calcolando la posizione, mi sembra che non dovremmo trovarci lontani dal deposito esplosivi dei 381. Un movimento sbagliato del DR, ammesso che Burt riesca a muoverlo, potrebbe provocare un altro urto, altri crolli, un’esplosione. Con noi finirebbe distrutto anche il Jerry che è lassù, solo una ventina di metri più in alto…

A mezz’ora dall’incidente i due naufraghi sono disperatamente impegnati nel tentativo di trovare nella centralina degli impianti elettrici, alle loro spalle, un collegamento d’emergenza. Sanno che esiste, ma è difficile riuscire a metterci le mani sopra, nel buio più profondo; e sanno anche che senza energia il Tom è morto.

E presto lo saranno anche loro.

Per raggiungere la scatola dei collegamenti elettrici hanno sganciato le cinture di sicurezza. Contorcendosi sono riusciti a trovarla e scoperchiarla.

Ora tastano uno ad uno cavi e contatti in una ricerca frenetica: da quel piccolo spinotto d’emergenza da collegare alle batterie dipende la loro sopravvivenza.

Non riescono a trovarlo.

"Occorrerebbe esercitarsi di continuo. E’ colpa nostra…"

"Lo troviamo, Burt, stai certo…"

"Ogni minuto che passa…"

"Non pensarci. Adesso anche senza lampada cominciamo a vedere qualcosa…"

Infatti, diradata la nube di ruggine attorno al Tom, i contorni della trappola ove il DR è finito si delineano debolmente: si sta manifestando la bioluminescenza cresciuta sulle lamiere.

Non li aiuterà più di tanto, però.

Le scarse probabilità di salvezza restano affidate solo all’aggancio del contatto d’emergenza con il pacco delle batterie. Non trovarlo significa la fine.

 

 

 

 

Circa un’ora prima – Sul Jerry

Al silenzio per interruzione di contatto con il Tom era seguita per Sarah e per Christian anche l’impossibilità di seguire i movimenti del minisub gemello dai lampi di luce che ne indicavano la posizione. S’era evidentemente addentrato nel ventre del Roma, al punto che il suo faro non era più visibile.

Sarah aveva allora chiesto a Christian di spegnere ogni fonte di rumore, ogni minimo ronzio, nella speranza di interpretare l’eco di eventuali rumori di manovra.

Avevano cominciato a attendere.

Era stata una interminabile tensione, sino a un sinistro rombo lontano, subito seguito dal balenare della guizzante bolla d’aria: investito il Tom continuava a dilatarsi e in un violento risucchio aveva trascinato il Jerry.

Senza controllo il minisub aveva ruotato su se stesso, il faro guizzante nel buio come scheggia impazzita.

Ma a differenza del Tom, il Jerry era in acqua libera e quando il pilota aveva potuto reagire con la forza dei propulsori, il DR si era arrestato. Sarah, superata la sorpresa, aveva aperto all’istante il contatto con la superficie. "Il relitto ha vomitato una massa d’aria di grandi proporzioni. Sale passando da cento atmosfere negative a zero, se non si frantumerà in mille rivoli "esploderà" accanto a voi come un pallone gonfiato. Attenti al punto d’emersione"

"Roger, ci regoliamo… Avete problemi?" chiede Meurice con voce senza inflessione, ma è ovvio che nella Sala Controllo sulla Xántas ci si preoccupa, e molto.

"Confermo. Abbiamo problemi" comunica Sarah.

Stiamo tentando d’affrontarli, vorrebbe aggiungere, ma preferisce tacere. A mille metri di profondità, il Tom e il Jerry dovranno cavarsela da soli, ammesso che sia possibile.

"Attendiamo un segnale" mormora a Christian "Il Tom non può essere stato inghiottito dal nulla".

 

 

 

 

 

08.30 a.m. nel Tom – Interno relitto Roma

Sul Tom il respiro dei naufraghi del buio dopo essere divenuto affannoso, ora s’è placato. I due hanno trovato il contatto d’emergenza.

Tornano ai loro posti appena completato il check dei contatti generali e Marco, ruotando su se stesso all’interno della capsula meglio di quanto potesse farlo il voluminoso compagno, è riuscito a collegare la consolle anche al cavo della lampada esterna di servizio.

"Debbo ringraziare mia moglie che m’obbliga a far ginnastica due volte alla settimana" mormora riprendendo il suo posto, riallacciando le cinture "Un contorcimento da circo equestre ma adesso non siamo più al buio e noi…!".

L’interrompe un isterico "No!… no!…" di Burt. Il faro appena acceso dopo averli in un primo momento abbagliati, li ha posti di fronte a una sorpresa paralizzante. Anche Marco, a sua volta spaventato, vorrebbe non credere a quanto vede. Scheletri umani accatastati in un vero e proprio ossario, a poco più di un metro da loro, illuminati dal raggio di luce, resti corrosi, spezzati, confusi.

Un teschio sembra fissarli in macabra smorfia, in una risata beffarda.

L’alta profondità, l’assenza di luce o chissà quale reazione chimica hanno preservato resti che la brutalità impietosa del faro costringe i due acquanauti a vedere.

Il tremore di Burt si fa convulso. Dopo essersi coperto gli occhi con entrambe le mani allarga le braccia, isterico sibila "lei… lei…" e gesticolando colpisce al volto Marco.

Ansima, lo fissa. Tenta di colpirlo ancora.

Marco, più rapido, lo blocca, torcendogli il braccio.

Burt s’immobilizza e biascica un "Mi scusi, professore". Il labbro ha ripreso a sanguinare, più copioso di prima.

"Scusami tu… non sapevo come calmarti. Ma adesso reagisci. Una crisi di nervi in questo momento non possiamo permettercela, se intendiamo uscire da questa trappola"

"Non ci riusciremo mai. La riserva d’aria cala di minuto in minuto…"

E’ coperto di sudore. Le mani gli tremano, e non cerca di nasconderlo.

"Burt, calmati…". Gli porge un cleanex che si trova in tasca, l’altro si asciuga dal sangue e resta con lo sguardo fisso agli indicatori dei livelli ossigeno e energia.

"Mi dia ordini, professore…".

"Muoviamoci per vedere su quale lato siamo liberi…" la frase resta in sospeso, stava per aggiungere "… se siamo liberi".

"D’accordo, tentiamo di ruotare"

"Dobbiamo farlo… Vedremo così cosa abbiamo sopra di noi…"

Le dita del pilota muovono sul pannello comandi. Malgrado tremi ancora, non ha esitazioni.

Il ronzio del contatto ai motori riempie il silenzio e subito dopo l’acqua, tutt’attorno al DR mossa dai propulsori, torna ad intorbidirsi. Polvere rugginosa riprende a cadere attorno al Tom.

Il ronzio dei motori cresce.

"Stiamo staccandoci e raddrizzandoci. La luce d’emergenza gira con noi… fra poco punterà verso l’alto"

"E’ fioca…"

"Meglio di niente Burt. Aguzziamo gli occhi…"

I propulsori provocano altro sommovimento e altra materia in sospensione vortica attorno al DR, lo rende di nuovo cieco. Nel timore di urtare elementi pericolanti, Burt immobilizza il Tom con i motori riportati a regime minimo.

 

Venti metri sopra di loro, in verticale, il ronzio dei propulsori del Tom, per quanto debolissimo è stato sufficiente per essere captato dal Jerry. Analizzando il tenue riverbero della traccia sonora registrata dagli strumenti di bordo, Sarah ipotizza di seguirla per raggiungere il mezzo in difficoltà.

Uno scambio di sguardi con Christian, e lo sente della stessa opinione: "Abbassa la prua del Jerry, scendi tra le lamiere. Dobbiamo trovarli".

 

Sul Tom si percepisce il riflesso di lontane sciabolate di luce.

"Il Jerry!… ci viene a cercare"

Il riflesso si ripete.

"Burt, muovi il Tom a destra, poi a sinistra. Spostando il raggio di luce forse ci vedranno…"

"Se sbagliamo anche di un solo metro, possiamo incastrarci definitivamente".

"Dobbiamo farci individuare, se non osiamo il prezzo è di restar sotto per sempre…". Tocca a Marco suonare la campana a morto "Di aria non ne resta molta"

Burt molla la leva di comando, il volto torna a coprirsi di una maschera di sudore.

Ritira la mano dal joy-stick.

"Arnei, prenda lei la responsabilità di queste operazioni"

Marco con un frettoloso "D’accordo…" e fingendo di non dar peso alla reazione del pilota, trae a se la barra di comando e la impugna. Nei DR può passare dal pilota a chi gli siede accanto, e lui ne conosce il funzionamento; da molto, però, non manovra personalmente un minisub; accelera minimamente i motori, innesta la marcia sul propulsore di destra.

Il mezzo gira su se stesso, il raggio della lampada inizia a disegnare un arco.

A metà della rotazione, la parte posteriore del DR urta qualcosa, il braccio con la pinza e il reperto agganciato, benché retratto, è entrato probabilmente in collisione con una delle lamiere crollate.

Il fragore, dentro la minuscola capsula è assordante. Stride un suono doloroso, quasi disperato, di metallo su metallo.

 

Sul Jerry, Sarah sta chiedendosi se non stia mettendo in pericolo la vita del suo compagno per aiutare il Tom, quando il raggio di luce del gemello appare e scompare tra le lamiere, sotto di loro. Anche Christian per un istante l’ha visto; sufficiente per far affiorare sul suo volto una smorfia che potrebbe essere un sorriso.

"Si muovono…" reprime un moto di commozione, e "… andiamoli a ripescare" aggiunge.

Sono alla manovra più difficile della loro vita professionale: non solo sfidare un dedalo di buio per raggiungere il Tom, ma tentare d’agganciarlo in caso abbia problemi gravi, e trascinarlo fuori dalla trappola.

"Se ci riesco e ti porto a galla, maledetto testone, ti spacco la testa con un colpo di chiave inglese".

"Allude al professore?"

"Proprio a lui, alludo…".

 

Riappare, poi scompare la lontana fonte di luce.

"Christian, laggiù…"

"Lascio a lei la manovra. A parte la sua bravura, in certe occasioni voi donne siete più fredde e determinate di noi…"

Le porge il joy-stick, Sarah lo impugna mormorando: "Bella confessione Christian! la ricorderò a tua moglie quando mi inviterai al matrimonio…"

"Un giorno lontano… per adesso mi limito al ruolo di cavalier servente: mentre lei si avvicina, ruoterò la lampada per far luce tutt’attorno"

Non è una illuminazione di grande portata. Anche nel Jerry, per quest’immersione sul supporto del secondo faro è stato montato il telemanipolatore "… per il recupero di quello stramaledetto reperto, per gli stramaledetti imbecilli della stramaledetta Fondazione" impreca Sarah.

"Guardi che se strilla così forte… beh, c’è caso che in superficie la sentano anche attraverso il piano d’acciaio sotto il quale stiamo muovendo"

"Tanto meglio! Così capiscono quanto siamo incazzati…".

 

Jerry scende a cinque, a sei, a sette metri sotto il livello del primo ponte del relitto.

Superato il secondo, il debole segnale di luce del Tom, indica il punto tra le lamiere ov’è, immobile. Per raggiungerlo, il Jerry dovrà superare un varco di labbra d’acciaio, con incastri di tubazioni assurdamente avvolte su loro stesse.

"… nel ventre di Alien…" sussurra Christian non rinunciando nemmeno in un momento così teso ai suoi paragoni; ruota il raggio di luce e ricorda un film visto da ragazzo.

"Faremo come gli scorpioni…"

Se raggiungerò il Tom, pensa Sarah, ci agganceremo uno avanti e l’altro dietro per risalire il budello a ‘tutta forza indietro’.

Se è difficile capire come sia riuscito un DR a infilarsi laggiù, sembra impossibile immaginare che sia possibile farne transitare due accoppiati.

"Prepara la pinza, e sii pronto ad azionarla…"

La vicinanza dei soccorritori è intuita, sul Tom, da una nuova caduta di polvere rugginosa. Lo conferma una sciabolata di luce.

"Burt, eccoli…"

Data la posizione, Marco non può vedere il minisub gemello. Lo ha alle sue spalle.

"Burt devi aiutarmi a manovrare… Intravedi il Jerry dal tuo lato? Io sono cieco da quella parte…"

Il DR soccorritore è sopra il gemello incastrato, non può scendere di più.

"Dobbiamo andargli incontro, Burt… costi quel che costi… Mi senti?"

No, Burt resta a occhi chiusi, mani alla testa; da quella posizione non si muove, né risponde.

OK… da solo è più facile decidere di rischiare. Riaccelero i propulsori.

Riprende lo stridore acuto dei metalli in collisione, ma questo non ferma Marco. Chiede tutta potenza, continua a forzare, nemmeno un contraccolpo laterale lo induce a bloccare il movimento.

Forse è rimasto danneggiato un altro propulsore ma non me ne importa nulla… ne ho ancora quattro.

Contro ogni regola, non s’arresta. Contro ogni regola la rabbia è buona consigliera.

Di nuovo lo ferisce lo stridio del contatto, come coltello sul vetro.

Io continuo… io continuo… Se insisto nel movimento rischiamo la fine, ma se mi blocco la fine è sicura.

Il DR riesce a porsi con la prua al Jerry, inclinato al massimo.

Sono di fronte.

"Come gli scorpioni, adesso…" ripete Sarah a se stessa, senza perdere un istante per scambiare un’occhiata con Marco. E’ un fascio di nervi, lo sguardo fisso agli strumenti e al braccio meccanico.

"Apro la pinza, Marco capirà che dobbiamo agganciarci"

Capisce infatti. Ha una breve esitazione (tutto è stato per nulla, allora?) poi invia un impulso alla mano meccanica del braccio manipolatore. Lampeggia il segnale OPEN.

La pinza s’apre, lascia cadere la lastra.

"Fan’culo!" impreca a voce alta accompagnando con lo sguardo la piastra di metallo sganciata, in un attimo inghiottita dal buio.

Allunga il braccio ora libero verso il Jerry.

Le dita metalliche dei due minisub si cercano, si toccano. Si stringono, infine, una all’altra.

"Caro professore mettiamo alla prova la nostra tanto decantata sintonia…" Sarah fissa l’amico "… guardiamoci negli occhi manovrando assieme. Lasciamo a Christian il controllo degli strumenti" (…)

(…) Non sono tre grida di gioia, ma esclamazioni soffocate a salutare l’uscita dal cratere. Perché il sollievo è di breve durata.

La lentezza con la quale i DR appaiati muovono in acqua libera, è fin troppo evidente. Christian indica a Sarah il pannello strumenti, basta un colpo d’occhio per aver conferma di quanto si teme: con un’immersione molto oltre i limiti di sicurezza, i mille metri da risalire per giungere in superficie, sarebbero da risalire in fretta prima che le riserve d’ossigeno finiscano in entrambi i minisub. Ma con i danni subìti ai propulsori, guadagnare velocità è praticamente impossibile.

 

 

 

 

10.30 a.m. dello stesso giorno. – Sala Operativa Xántas

"Xántas mi sentite? non abbiamo un problema, ora. Ma due…". Christian ha sintonizzato il transponder del Jerry sulla frequenza della nave appoggio.

Risponde Meurice.

"Ricevuto…"

"Iniziamo il ritorno, agganciati al Tom che ha due propulsori K.O.. Noi ne abbiamo perso uno. Di conseguenza saliremo in superficie più lentamente di quanto dovremmo. Preparatevi a recuperarci in fretta, appena emergiamo, saremo oltre ogni limite della riserva d’ossigeno. Poco coscienti."

 

 

 

10.50 a.m. – Quota meno ottocentocinquanta

Il Jerry continua la salita verso la superficie, agganciato al gemello. Il traino rallenta i due DR più di quanto gli acquanauti potessero supporre. Il calcolatore del Jerry, riaggiornato con i dati registrati durante l’ascesa dei primi cento metri, in ridda di numeri luminosi, emette una glaciale sentenza: a quella andatura sarà necessario un tempo doppio di risalita: il gap con la riserva d’ossigeno è di conseguenza incolmabile.

Gli acquanauti non hanno comunque avuto bisogno di attendere la risposta degli strumenti, la situazione è evidente dal vago stordimento che si è impossessato di tutti loro da quando è cominciata la rimonta della montagna d’acque che li sovrasta.

Inequivocabile segno che all’interno dei due minisub il livello d’anidride carbonica sale.

Il primo a reagire è Marco.

Il Tom azzoppato non trascinerà solo noi alla morte, ma anche Sarah e Christian, se resterà unito per il traino.

Sarah è giunta di certo a identiche conclusioni… ma non prenderà mai la decisione di sganciare il Jerry dal Tom e abbandonarci alla deriva.

Fissa davanti a se un punto indefinito nel buio di quello spazio fattosi ostile.

"E’ solo una, la soluzione" parla a voce alta, Burt è come non lo sentisse.

Sarah non approverebbe il mio piano. Ma per mia fortuna il nostro transponder è fuori uso. In questo o nell’altro mondo, dove ci incontreremo, Sarah non potrà incazzarsi per non esser stata interpellata, su una decisione tanto drastica…

Tenterà la "manovra d’emergenza estrema".

La attuerà subito, prescindendo dal rischio per lui e per Burt. Non resta tempo per altre valutazioni del pro e del contro. Dubbi e incertezze sono inutili.

Coraggio, Marco. Via!

Al suo primo comando, il braccio meccanico apre le sue forti dita, e sgancia la pinza del Tom da quella del Jerry. I due minisub sono liberi all’istante.

Appena il tempo di incrociare lo sguardo esterrefatto di Sarah, e già Marco tira a se con colpo deciso la rossa maniglia EMERGENCY sotto il seggiolino.

Segue un sussulto violento.

La zavorra di piombo e il grande pacco delle batterie, si sganciano dal Tom.

Il DR è diviso in due, la parte pesante precipita nel buio sottostante, mentre la sfera trasparente con i due uomini a bordo, fattasi leggera, inizia a salire verso l’alto. In velocità che aumenta di metro in metro.

Dirige verso la superficie, ma la capsula ruota su se stessa, in nessun modo è governabile. Le potrebbe accadere di urtare ostacoli imprevedibili, branchi di pesci (e sarebbe poco male), il corpo di un pesante cetaceo (e sarebbe un disastro).

La velocità cresce mano a mano che la pressione delle acque cala. E la risalita potrebbe anche concludersi – ultimo e maggiore pericolo – con una collisione con la nave-appoggio quando incontrollata come un tappo di spumante raggiungerà la superficie.

 

"E’ un pazzo! È diventato pazzo!" ha urlato Sarah vedendo guizzare verso l’alto la capsula del Tom. E’ forse per la prima volta sconvolta, ma appena Christian mormora "Ci ha mollato, se ne è andato…" non lo lascia continuare "Lo ha fatto per noi, per consentirci di risalire, con lui a rimorchio non saremmo mai arrivati in superficie… Avvisali, lassù. Arnei e Burt rischiano la vita… massimo allarme, massimo allarme…"

In Sala Operativa, s’è udito perfettamente il grido d’allarme e Meurice già lancia l’emergenza sull’emergenza.

"Tom in risalita incontrollata, Tom in risalita incontrollata…". Al gracchiare dei citofoni, s’aggiunge un lungo suono di sirena.

 

(…) Quanto resta del DR è individuato e seguito dai sensori del rilevamento sonar sotto controllo di Meurice; il calcolatore indica il punto ove emergerà e lui può citofonare in plancia: "Macchine ferme! siamo a distanza di sicurezza…".

"Voglio vedere i cavi d’aggancio volare sul DR appena affiora" urla Tarak ai suoi assistenti.

Meno un minuto.

Lo Xántas ha virato su se stessa, le sue eliche sono ferme, ma i motori restano accesi, pronti a riportarla al punto dove il Tom

Eccolo!

Emerge dal pelo dell’acqua quasi completamente, ricade e torna sotto la superficie in ribollìo di schiume. Ruota su se stesso impedendo ai sommozzatori d’avvicinarsi, mentre lo Xántas manovra per accostarsi subito a quanto resta del minisub.

Appena gli sono accanto, il cavo d’aggancio è calato con precisione millimetrica accanto alla sfera appena affiorante.

"Li vede, Meurice?" chiede il citofono dal ponte superiore "… vede i due, dentro?".

Non si può ancora dare risposta. Sul perspex sferico della capsula trasparente il riflesso del sole è accecante e questo accresce l’ansia generale, dal Comandante all’intero equipaggio, ormai tutti affacciati alle balaustre dei ponti.

La lucida cupola sale e scende, l’acqua continua a coprirla e scoprirla. Meurice impreca in tutte le varianti del dialetto austriaco, vorrebbe che i due sommozzatori riuscissero…

Uno dei due grida qualcosa, e dal canotto accanto a lui un marinaio ripete con la radio portatile "Là dentro qualcuno ha fatto un cenno. Il sommozzatore l’ha visto bene".

Il Tom è finalmente fermo.

La rizza calata dal bigo di poppa viene afferrata dai sommozzatori, la redancia si chiude sull’anello superiore della capsula, il Tom dimezzato esce dall’acqua, oscilla, è issato a bordo.

Il frastuono del motore in moto per il recupero è sovrastato da grida di stupore. Tutti sapevano cos’era successo al minisub, ma la sua mutilazione, quando esce dall’acqua fa impressione. Irriconoscibile, il Tom è una testa senza corpo.

Appena sul ponte i quattro marinai addetti s’avventano, è la parola esatta, sui bulloni a pressione della chiusura stagna, li mollano e dal guscio aperto estraggono Arnei e Burt liberandoli dalle cinghie di sicurezza.

Tarak e Meurice li aiutano, sostenendoli, a poggiare i piedi sulla plancia dove forse non avevano più sperato di giungere.

"Burt…" è stata la prima parola di Marco, mentre con la mano indica il compagno "… pensate a lui, sta male…". La squadra lo toglie dalle braccia di Tarak, e lo porta di peso in infermeria.

Marco si fa forza, muove un passo…

"Attenti, cade!" urla una voce.

Molte braccia sono pronte a sostenerlo, l’intera nave ha preso a girargli attorno. Si riprende, respira profondamente, qualcuno cerca di appoggiargli sul viso la maschera dell’ossigeno, lui la rifiuta. Sebastian, sopraggiunto di corsa, gli offre un bicchiere d’acqua.

Marco la beve in un lungo sorso, poi con voce bassa ma non incerta si rivolge a Tarak "Il Jerry… occupatevene subito, per loro è emergenza più di noi. Hanno l’aria agli sgoccioli e sono ancora molto lenti…".

"Siamo pronti all’intervento"

"Resto accanto a voi…"

Un colpo di sirena copre le ultime parole, precedendo d’una sola frazione di secondo la voce di Meurice dall’altoparlante "Tre minuti all’emersione del Jerry. Riprendere posizione…"