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Interno sommergibile - prima ora d'immersione
"Abbiamo faticato meno di quanto temessi, ringraziando Dio!" Juv stava sudando, la gamba rigida non gli aveva permesso le contorsioni dei compagni.
"Quando dovremo risalire, il passaggio ci sembrerà più facile."
"Adesso è perfettamente ripulito..."
"... buona precauzione, se dovessimo risalirlo velocemente. Potremmo essere costretti ad andarcene in fretta per..."
Sarah l'interruppe: "Marco! temi d'incontrare un architeuthis con funzioni di guardiano?"
"In quel caso mi maledirei per non avere al collo la mia Hasselblad digitale. Un ritratto del misterioso re degli abissi in primo piano sarebbe un bel regalo da spedire a Sir William, a Brailich e al loro istituto di ricerca."
Scherzavano, anche se durante la discesa l'inquietudine era cresciuta. Per questo, come in altre occasioni difficili, cercavano di scaricare la tensione in un continuo scambio di battute.
I colori attorno a loro erano passati, dal riverbero rosso del condotto dove la lampada aveva illuminato pareti cariche di ruggine, al generale tono giallastro della sospensione torbida. Cominciò a depositare dopo lunghi minuti, mentre loro riprendevano fiato.
Quando cominciò a materializzarsi una visione d'insieme del locale, lo spazio apparve angusto, soffocante benché fosse uno dei più vasti in quella macchina da guerra un tempo considerata micidiale.
Erano nel corpo d'un temibile guerriero, ma di lui restava solo lo scheletro. Ne intravedevano le forme, ombre di strumenti tra incrostazioni rugginose cresciute come bubboni e tappezzerie di spugne.
Una di quelle ombre, di forma cilindrica, sospesa al centro del locale, era la parte finale del periscopio.
Le paratie erano percorse dalle vene del corpo senza vita, cavi elettrici, condotte d'acqua e dell'aria a pressione, infrastrutture tecniche, tra ruggine e spugne, solo vagamente riconoscibili. Su pannelli laterali si riconoscevano a stento quadri di strumenti, leve, manometri, volanti di manovra.
Nei caschi rimbombò improvvisa un'esclamazione di Sarah. In una sorta di anfratto nel pavimento, un'ombra s'era mossa.
Al trasalimento seguì un sorriso: un grosso polpo avanzava verso i piedi degli intrusi.
"Per come conosco questi insopportabili ficcanasi, il signorino appena risvegliato ci seguirà ovunque."
Le parole di Juv, le prime a vibrare nel locale - una voce dopo anni e anni - furono un indiretto richiamo allo scopo di quell'immersione: ritrovare l'accento, la lingua parlata all'interno del sommergibile, quand'era operante.
In quella ricerca, nel confronto con uno scafo senza nome e senza bandiera, la loro abilità di archeologi subacquei sarebbe stata messa ancora una volta alla prova.
S'erano intanto avvicinati alla parete di fondo e tutto pareva ondeggiare per l'acqua smossa. Di fronte a loro qualcosa si sfaldava, qua e là cadevano minuscoli pezzi di quanto tempo e salsedine avevano corroso. Erano nello scheletro di un corpo morto in decomposizione, occorreva agire attenti a ogni movimento falso, o troppo brusco. Lo sapevano bene, troppe volte avevano lavorato all'interno di un relitto sommerso. Ma oggi non era come sempre. Oggi erano all'interno di un corpo, schiacciato da centinaia di tonnellate di madrepore, coralli cresciuti sopra di lui. Come avrebbe reagito ai loro movimenti? Sapevano bene quanto, a volte, basti la minima variante a compromettere un equilibrio precario, e finisca a pezzi quanto aveva resistito per anni, a volte secoli.
Comunque, conoscevano i rischi della sfida, il timore non li paralizzava. Anzi era stimolo a operare per raggiungere al più presto un risultato.
Per bilanciare i timori, cercarono anche di convincersi del contrario di quanto s'erano appena prospettati: lo scafo nel quale erano entrati era stato costruito in acciaio temprato per resistere alle bombe e alla pressione dell'alta profondità. Non era un corpo in decomposizione, quanto si sfaldava e andava in polvere riguardava solo parti deboli, corruttibili. Non lo scheletro creato per sopportare tremende sollecitazioni.
Diedero inizio alla ricerca.
"Non sarà cosa da poco..." mormorò Marco guardandosi d'attorno, quel velario di morte era apparentemente impenetrabile. Occorreva violarlo, penetrarlo.
"Di iscrizioni, marchi e simboli sotto questa mimetizzazione se ne nascondono a dozzine, accanto alle decine di strumenti per comandare il sommergibile e i suoi uomini. Dobbiamo cominciare con il trovarne uno..."
"Occorrerà scrostare molti punti, ma quanto rimosso solleverà nubi di ruggine." Juv misurava la difficoltà della ricerca "Saremo avvolti in una sospensione molto fitta."
"Il solo parlare trasmette vibrazioni dal nostro casco alle pareti, al soffitto... sufficienti a smuovere strati leggeri di ruggine" fece notare Sarah "Anche questo contribuirà a complicarci la vita, diminuendo la visibilità." Proprio nel dir questo, vedeva cadere dalla paratia superiore qualcosa di non definibile, polvere torbida.
"Ok, Sarah ha ragione" conclude sottovoce Marco "parliamo poco e cominciamo a cercare."
Indicò il cilindro imponente del periscopio che scendeva dall'alto e troneggiava al centro del locale. Sarah lo illuminò.
Lo strumento, quando era mobile, funzionante e non pressoché irriconoscibile come adesso, era l'occhio di un sottomarino in immersione. Ai suoi visori binoculari si affidava il comandante, il sistema di lenti gli rimandava la visione dell'orizzonte in superficie, consentendogli di decidere mosse d'attacco o di difesa.
Su uno strumento tanto vitale doveva esservi inciso un marchio di identificazione, la sigla di chi lo aveva costruito o adattato; indizio prezioso, se portato alla luce. Forse sufficiente a aprire uno spiraglio nella cortina del tempo.
"Juv, usa la grattugia. Libera da spugne e ruggine la zona centrale dell'impianto."
"Avevamo deciso di non parlare" mormorò Sarah, ma si strinse nelle spalle, lo strumento da mettere in funzione avrebbe provocato vibrazioni di molto superiori di qualche parola al laringofono. Infatti appena iniziò l'operazione ruggine, polvere e detriti presero a cadere e vorticare attorno a loro. Juv interruppe subito l'operazione, al fragoroso rimbombo subentrò un silenzio assoluto. S'è fatto anche buio, la nevicata rugginosa neutralizzava completamente la luce della torcia.
Sospesi nel nulla, erano impossibilitati a reagire alla nube impalpabile che li aveva avvolti. Restarono calmi, non s'udivano scricchiolii dalla struttura tutt'attorno a loro. Il silenzio assoluto venne spezzato solo dall'improvvisa voce della superficie: "Avete problemi?" Il silenzio prolungato aveva impensierito Tenti.
"Sembrerebbe di no."
Marco s'accorse d'aver risposto sottovoce, ancora trattenuto dal timore di provocare effetti indesiderati producendo altre vibrazioni, altri scompensi.
Trattenne il fiato, un secondo, due, cinque... poi parlò. A voce alta, questa volta.
"Parliamo senza troppo preoccuparci. Mi sembra evidente che provochiamo effetti più fastidiosi che pericolosi. Comunque non continuiamo a usare il raschiatore metallico. Abbiamo i coltelli..."
"Sono pronto a mettere in azione unghie e denti..." La risposta era di Juv, la sua ombra s'intravedeva attorno a tutti loro, stava tornando una minima visibilità.
La luce della torcia riuscì a illuminare parte del periscopio, e lui prese a raschiare con il coltello, Marco gli era andato accanto e gli aveva indicato un punto dell'impianto. Conosceva i periscopi moderni, ma riteneva che non fossero molto diversi, dai modelli degli anni quaranta, almeno come posizionamento. Poco più alto o poco più basso, era pur sempre lo stesso il punto dove un comandante poggiava gli occhi per gettare uno sguardo circolare dodici, quindici metri sopra il suo sommergibile in caccia.
Juv raschiava regolandosi sull'altezza del viso e Marco fece altrettanto. Nel silenzio i coltelli provocavano rumori e vibrazioni; in realtà nulla al confronto del raschiatore meccanico, con quel suo frastuono da trattore su un ponte di ferro.
Lo stridio delle due lame sembrò comunque sgradevole al polpo con funzioni di padrone di casa. Guizzò via liberando la gamba destra di Marco dal suo affettuoso abbraccio.
"Non avrei scommesso un centesimo sul ritorno della visibilità in così breve tempo." Sarah teneva ben fisso il raggio della lampada sul periscopio.
"La riserva di ruggine in polvere non era inesauribile, per fortuna."
Juv li interruppe.
"Ci siamo!"
Le punte dei coltelli s'arrestarono, i caschi s'avvicinarono al punto indicato dalle mani di Juv. Quanto era apparso e stavano fissando era un indizio incoraggiante e alimentò il loro ottimismo, benché fosse solo un brandello di gomma. Ripresero a operare di punta, e Juv bofonchiò "Questa è quanto resta dell'appoggio per gli occhi al sistema ottico del periscopio... Dobbiamo trovare il resto..."
"Eccolo!"
Il raggio della lampada si rifletteva in un punto lucente.
"Questa è una lente. Di conseguenza ci sarà l'altra. Lasciatemi raschiare ancora qualche istante."
L'istante si prolungò per alcuni minuti, mentre tra cordoli di ruggine affiorava il doppio sistema di lenti del periscopio.
"Qui poggiarono gli occhi di... di un uomo coraggioso, chiunque egli fosse." Juv si era immobilizzato. Di sicuro è commosso, pensò Sarah.
Anche Marco aveva intuito il suo stato d'animo e finse un tono brusco: "Continua a raschiare sul punto identificato."
"D'accordo, ma avvicinatevi di più. Se tracce di un marchio venissero alla luce... Bè, sei occhi vedono meglio di due." Si rivolse a Sarah "Tieni il raggio della lampada laterale, la luce di taglio mi aiuta."
Il forte contrasto ebbe subito una conseguenza, rese evidente una lettera incisa, una A. Subito dopo, a sinistra ne apparve un'altra, poteva essere una C, oppure una G. Esclamazioni rimbombate nei caschi mentre il coltello s'infilava sotto una spugna attaccata al metallo sottostante, quasi ne fosse divenuta corpo unico. Sollevandola, lasciò intravedere una L. A quel punto tutto il corpo spugnoso, chissà da quanto aderente al periscopio si distaccò del tutto, portandosi via una porzione di metallo e vernice. E quant'altro stava forse per venire alla luce.
"Maledizione!" l'esclamazione era diversa da quella preferita da Juv, in troppi lo stavano ascoltando anche in superficie e il modo di dire italiano che stava per rimbombare lo conoscevano sicuramente persino i marinai turchi del Mranz.
"Vedrei il contrattempo come suggerimento prezioso." Sarah per farsi capire aggiunse: "Anziché grattare le zone parzialmente coperte di ruggine, attacchiamo e stacchiamo tutto un loro conglomerato. Se opereremo con la massima attenzione e non intaccheremo il metallo con la punta dei coltelli, si potrà ottenere un risultato migliore. La spugna staccata e non strappata..."
"... non porterà via con sé pezzi di metallo corroso. Hai ragione... e così forse lettere o cifre, se ci sono, appariranno più o meno leggibili."
"Idea da mettere alla prova" convenne Marco.
Mossero lenti passi nell'acqua immota, tutto di nuovo si fece confuso, ma l'intorbidirsi fu di minore intensità. Raggiunsero una parete dove erano visibili leve e tubazioni.
"Iniziamo da qui."
A un primo e a un secondo distacco di ammassi spugnosi nulla venne alla luce.
Il terzo tentativo fu fortunato. Marco, insinuato il coltello senza forzare sotto una protuberanza enorme, forse non perfettamente aderente alla parete, ne provocò il distacco. Sul sottostante metallo, solo parzialmente corroso, apparvero resti di lettere e numeri in rilievo.
Sarah si spostò, orientò la torcia; la luce di taglio permise a Marco di leggere: "Una A e una N... una T..." Si rivolse a Juv: "Dove muovi la punta del coltello cosa sta apparendo?"
"Una F."
"Siamo cascati su una miniera d'informazioni!" Sarah poteva sembrare ironica, ma non lo era; poco oltre la zona venuta alla luce, la lampada stava rivelando numeri in rilievo: "Qui si legge un 9. Se t'avvicini e ripulisci tutt'attorno..."
Venne accontentata senza lasciarle finire la frase. Oltre al 9, apparvero un 3, un 9 e la lettera B.
Mentre stava rileggendo numeri e lettere, Marco si diede per la seconda volta dello stupido per non aver con sé la fotocameara digitale con il luminoso obiettivo Zeiss e la preziosa unità di memoria a disco... "Più che necessaria, adesso... Il mio cervello era cotto dal caldo, per essermi dimenticato di portarla con me."
L'aver ricordato il caldo ebbe immediata conseguenza. S'accorse d'aver gambe e braccia infreddolite malgrado il riscaldamento dello scafandro. Era l'effetto di un'immersione troppo prolungata. Un'occhiata all'orologio lo stupì, non s'era reso conto da quanto tempo durava quell'esplorazione: quasi da due ore!
"Dobbiamo risalire!"
"Stavo per suggerirtelo, Marco" convenne Juv "Ho molto più grasso di voi a protezione del mio vecchio corpo, se ho freddo anch'io, voi dovreste battere i denti."
Il freddo, lo sapevano bene, poteva provocare contrazioni e crampi; una complicazione non da poco, considerando il difficile condotto da risalire, con notevole sforzo fisico.
Una voce li sorprese in questi pensieri iscritti da tempo nella loro esperienza. Tenti aveva taciuto per non distrarli dall'operazione in corso, adesso gli sembrava tornato il momento di riaprire la comunicazione.
"Avvisatemi appena iniziate il viaggio di ritorno. Recupererò lentamente le manichette. Non debbono esservi d'impiccio nello stretto passaggio dall'interno all'esterno del sommergibile."
"Grazie, Tenti."
Un ultimo sguardo di Juv confermò quanto ormai sembrava certo anche a Marco e a Sarah: non si vedevano altre lettere o numeri applicati in quel punto della parete.
"Ricordiamoci quali sono venute alla luce e la loro sequenza... Ognuno se la fissi nella memoria." Visto che non è possibile fissarle sul dischetto digitale, considerata la mia sprovvedutezza concluse tra sé; e continuò a insultarsi sin quando s'infilò per ultimo nello stretto condotto verso la plancia. Verso la superficie.
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